Parte grassa si, parte grassa no, parte grassa si parte grassa no….
ALT FERMO GIOCO!
Prima di prendere una decisione vediamo gli effetti che ha all’interno degli impasti.
Oltre all’importa del cereale adoperato, dell’acqua che inseriamo negli impasti, è molto importante anche la frazione grassa che si decide di usare. L’effetto più evidente dell’inserimento dei grassi è il cambiamento di consistenza che fornisce in fase di lavorazione; una elasticità e morbidezza all’impasto riconducibile alla viscosità del grasso inserito.
In fase di sviluppo si ha una omogeneità dell’alveolatura sia come dimensione degli alveoli sia come distribuzione all’interno dell’impasto poiché il grasso ha la capacità di racchiudere l’anidride carbonica creando un velo attorno alla bolla di gas e favorisce la sua migrazione e disposizione all’interno dell’impasto.
Altro aspetto riguarda la durabilità del prodotto cotto. È esperienza comune che un impasto cotto, trascorso del tempo inizia ad indurirsi. Questo processo irreversibile è dovuto al fatto che l’acqua da prima trattenuta dall’amido, venga rilasciata una volta che l’amido inizia ad invecchiare. Le particelle d’acqua libere, migrano per osmosi dalla mollica dove vi è grande quantità di acqua sino alla crosta, da prima più secca. A questo punto la crosta risulta umida e la mollica indurita. La parte grassa rallenta questo fenomeno perché essendo inserito nell’impasto, crea un film sottilissimo attorno all’amido rendendolo impermeabile e di conseguenza rallenta la fuoriuscita dell’acqua verso l’esterno aumentando di fatto la vita utile dell’impasto.
Quest’ultimo fenomeno però ha anche degli aspetti negativi che devono essere valutati affinché non compromettano la buona riuscita dell’impasto. Infatti le materie grasse avendo una azione di impermeabilizzazione, riducono la miscelazione dell’acqua nella farina e del lievito nella farina. Questo si traduce in una riduzione dell’attività enzimatica e riduzione dell’attività dei lieviti.
Ecco allora che la parte grassa si inserisce alla fine come ultimo ingrediente, una volta che l’impasto è incordato bene. Con l’inserimento di questo ingrediente, l’incordatura viene parzialmente persa, ecco allora che si deve continuare ad impastare in modo che il grasso si omogenizzi e l’impasto si incordi nuovamente
Vediamo di seguito le fonti di grasso più comunemente utilizzate in cucina
Olio d’oliva
L’olio d’oliva è sicuramente la fonte di grasso più usata nel bacino del mediterraneo, dove per conformità naturale e temperatura si elevano olivi secolari. Dall’oliva si possono ottenere moltissimi tipi di olio, più o meno pregiati ma tutti normati da legge:
- olio extra vergine: ottenuto da sole lavorazioni meccaniche. La sua acidità espressa come acido oleico non deve superare lo 0.8%
- olio vergine: anch’esso deve essere estratto con soli metodi meccanici ma, il grado di acidità massimo è 2%
- olio raffinato: ottenuto dalla deacidificazione, decolorazione e deodorazione dell’olio vergine. Ha un valore di acidità massimo pari a 0.3%. La lavorazione di raffinazione è tale per cui tutti i nutrienti presenti nell’olio vengono distrutti.
- Oli di sansa: derivanti dalla lavorazione di ciò che rimane dall’estrazione dell’olio. Si ricavano prodotti per pressatura o centrifuga e dopo essere stati raffinati diventano commestibili.
Altri tipi di oli
Altre tipologie derivano dalla lavorazione di semi o frutti. Tra i più comuni:
- Olio di arachidi: ha una gamma di sapore e odore molto leggero, un gusto neutro adatto per la cottura pur avendo orientativamente il 40% di grassi insaturi e un 20% di grassi saturi. Come composizione non è molto diversa da quella dell’olio d’oliva.
- Olio semi di girasole: ha un alto contenuto di acido linoleico, essenziale per l’organismo e altissimo contenuti di acidi grassi insaturi, più dell’80%. Ecco perché non è particolarmente indicato per la frittura.
- Olio di mais: molto simile all’olio di semi di girasole, contiene una elevata percentuale di acido linoleico per cui non adatto alla cottura.
- Olio di palma: estratto dal frutto della palma, è composto prevalentemente da acidi grassi saturi e il 30-40% di acidi grassi monoinsaturi. Per questo motivo è sicuramente l’olio migliore per friggere poiché resiste egregiamente le alte temperature.
Negli ultimi anni l’olio di palma è sotto l’attenzione di attivisti che ne demonizzano l’uso. Attenzione a ciò che si legge, perché l’olio di palma per la frittura è sicuramente l’alternativa migliore soprattutto a livello industriale ma, si stanno disboscando intere foreste per piantare le palme e commercializzarne l’olio. Quindi la protesta deve essere rivolta verso la iper commercializzazione del prodotto non verso l’uso del prodotto.
Tutti questi oli hanno caratteristiche differenti, più o meno gusto L’olio extravergine di oliva è quello che presenta gamma di sapori e odori più intensi se paragonato agli altri oli. Tra le diverse caratteristiche da tener in mente spicca la presenza di acidi grassi insaturi o saturi che influenzano in modo sostanziale il punto di fumo di ciascun prodotto e quindi il suo utilizzo.
Burro
Altro grande grasso usatissimo in cucina, soprattutto in pasticceria, è Il burro!
Pensate che il burro sia tutto uguale?
Be….sbagliate.
Infatti esistono diverse tecniche per procurare il burro, ciascuna tecnica ne caratterizza i valori nutrizionali e organolitici che poi si ripercuotono sui nostri impasti. Ovviamente se l’uso del burro è minimo non vi sono grandi differenze ma, in un impasto come panettone o colombe in cui la percentuale di burro è notevole, le cose cambiano.
Come sempre se si conoscono le differenze si sceglie con coscienza!
Vediamo assieme le diverse tipologie.
- Burro da centrifuga
- Burro di caseificio o da affioramento
- Burro di siero
Il burro da centrifuga
Si ottiene partendo dal latte che, appena munto viene immesso in una centrifuga e azionata a bassa temperatura ma alte velocità superiori ai 6000 giri al minuto. In questo modo la parte grassa del latte viene estratta dalla restante. Quindi il processo è diretto ovvero dal latte al burro ed è quello adoperato in tutto il nord Europa dove il consumo di burro crudo è largamente diffuso ed è il burro di miglior qualità in assoluto. In Italia solo una piccola percentuale di burro è realizzata in questo modo. La maggior parte si ha per affioramento
Il burro di caseificio o per affioramento
Come suggerisce il nome, questa tipologia di burro è ottenuta dalla lavorazione del formaggio. Piu precisamente dallo scarto della lavorazione del formaggio. Quindi mentre per il burro da centrifuga il passaggio era diretto latte burro, in questo caso si ha latte formaggio burro. Ovvero la crema di latte è prelevata dal latte secondo tecniche favorevoli alla preparazione del formaggio e non del burro. Quindi si ha un prodotto che sottoposto ad alte temperature per molte ore, si inacidisce e deve subire processi di abbattimento dell’acidità che impoveriscono il prodotto finale di nutrienti e ne modificano il gusto. Come detto prima questo processo è quello più diffuso in Italia dove il consumo di latte trasformato in formaggio è maggiore del latte trasformato in burro, ecco perché le tecnologie impiegate sono atte a soddisfare un mercato a discapito di un altro.
Il burro di siero
Questa tipologia di burro è il sottoprodotto della produzione di formaggio, partendo dal siero. Infatti nel siero rimane una piccola parte di grasso, circa lo 0.5% che, una volta estratta da origine al burro di siero.
Le caratteristiche che fanno preferire la prima tipologia di burro alle restanti sono sicuramente il gusto, molto più dolce rispetto agli altri tipi e quindi adatto alla panificazione e realizzazioni di dolci da ricorrenza. Secondo aspetto non da trascurare è la sua conservabilità infatti dura molto di più rispetto al burro per affioramento che rischia di irrancidirsi.